Courtesy the Estate of Dan Graham

Nel tempo e nello spazio con Dan Graham

6 maggio 2024

Omaggiamo uno tra i più importanti artisti concettuali internazionali, Dan Graham, che con la sua ricerca ha esplorato i confini tra arte e architettura. Ne ripercorriamo la carriera attraverso la ricca bibliografia di pensatori e critici che hanno ricostruito e commentato il suo lavoro.

The Passing Time City è la mostra che Triennale Milano dedica a Dan Graham (Urbana, 1942 - New York, 2022), una delle figure chiave per chiunque voglia confrontarsi con gli sviluppi dell’arte concettuale del XX secolo, presente con due grandi installazioni allestite negli spazi esterni dell’istituzione e una documentazione d’archivio all’interno di Cuore. Il progetto, a cura di Maurizio Bortolotti in collaborazione con Estate of Dan Graham e Ufficio Arte negli Spazi Pubblici del Comune di Milano, offre la possibilità di confrontarsi con la dimensione ambientale di un’opera che spinge oltre i confini della percezione.

Ricorre frequentemente il nome di Graham all’interno di materiale bibliografico, nella fittissima saggistica sulle arti visive che lo riguarda o nella lista delle sue opere presenti nelle collezioni delle più importanti istituzioni internazionali. Non solo, la ricorrenza spazia anche nella letteratura sulle arti performative, sull'architettura, sulla musicologia e persino sulla ricerca spirituale e mistica. Basterebbe forse questo dato a restituire la capacità dell’artista di intervenire incisivamente esplorando media diversi, sempre adoperandosi radicalmente per interrogarne la natura e andando al di là del proprio presente.

Dalla metà degli anni Sessanta, Graham produce un fondamentale corpus di opere e di scritti teorici che rivelano le sue capacità analitiche nel riflettere sulle funzioni storiche, sociali e ideologiche dei sistemi culturali della contemporaneità. Architettura, musica popolare, video e televisione sono solo alcuni dei macro-temi che Graham articola in saggi, performance, installazioni, videotape e progetti ambientali, come quelli presentati in The Passing Time City.

All’inizio degli anni Settanta, l’artista inizia a realizzare installazioni e performance che coinvolgono attivamente lo spettatore in un'indagine percettiva e psicologica su pubblico e privato, osservatore e performer. Ripensando lo spazio, il tempo e il coinvolgimento del pubblico in una decostruzione della fenomenologia della visione, le sue prime installazioni incorporano spesso sistemi video a circuito chiuso all'interno di luoghi che ospitano le performance. In questi casi la percezione dello spettatore è manipolata tramite ritardi, proiezioni in differita, in un’estetica che allude ai sistemi di sorveglianza e alla natura delle superfici riflettenti. In Performance/Audience/Mirror (1975), ad esempio, l’artista, in piedi di fronte a un muro coperto di specchi descrive con estenuante minuzia di dettagli i movimenti del proprio corpo in relazione al pubblico che lo osserva. Tale scena di continuo spostamento tra soggettivo e oggettivo è ripresa in diretta da una videocamera, riflessa negli specchi insieme all’artista e al pubblico; l’immagine, che inquadrandoli diventa a sua volta una sorta di “soggetto”, trasforma Graham e gli spettatori in oggetti. Il pubblico all’inizio della performance, si percepisce come “immagine” allo specchio, mentre nella registrazione dell’evento su videotape è visto insieme all’artista come oggetto della visione da un eventuale terzo spettatore.

Questa, come altre prime opere, ha contribuito a quel filone di ricerca specifico del concettuale che ha posto questioni fondamentali sulla relazione tra corpo, spazio e sessualità, e sulla natura dell’occhio mediale come custode della memoria di azioni e tempi e come possibile manipolatore della narrazione del reale. Artisti visivi come Bruce Nauman, Vito Acconci, Gina Pane oppure Michael Snow nel cinema e Alvin Lucier nella musica, hanno inteso l’imparzialità del punto di vista del medium e nel farlo, hanno anticipato temi e preoccupazioni che oggi si tendono erroneamente a considerare “risolti” nella forma di quello che le neuroscienze definiscono come presente specioso, o presente continuo.

A tal proposito, nel 1974 Graham realizza Present continuous past(s), così commentato nel suo saggio Video-Architecture-Television (New York University Press, 1979): “Gli specchi riflettono il tempo presente. La videocamera registra ciò che è immediatamente davanti a essa e l'intera riflessione sulla parete opposta specchiata. L'immagine vista dalla telecamera (riflettendo tutto nella stanza) appare 8 secondi dopo sul monitor video (tramite un ritardo del nastro posto tra il registratore video che sta registrando e un secondo registratore video che sta riproducendo la registrazione). Se il corpo dello spettatore non ostruisce direttamente la vista dell'obiettivo del frontale specchiato, la telecamera sta registrando la riflessione della stanza e l'immagine riflessa del monitor (che mostra il tempo registrato 8 secondi prima riflesso dallo specchio). Una persona che guarda il monitor vede sia l'immagine di sé stesso, 8 secondi fa, sia ciò che è stato riflesso sullo specchio dal monitor, 8 secondi fa di sé stesso, il che sono 16 secondi nel passato (poiché la visione della telecamera di 8 secondi prima stava venendo riprodotta sul monitor 8 secondi fa e questo era riflesso sullo specchio insieme alla riflessione presente dello spettatore). Si crea un regresso infinito di continui temporali all'interno di continui temporali (sempre separati da intervalli di 8 secondi) all'interno di continui temporali. Lo specchio ad angolo retto rispetto all'altra parete specchiata e al muro del monitor fornisce una vista del tempo presente dell'installazione come se fosse osservata da una prospettiva "oggettiva" esterna all'esperienza soggettiva dello spettatore e al meccanismo che produce l'effetto percettivo dell'opera. Riflette semplicemente (staticamente) il tempo presente.”

La riflessione di Graham è prossima alle modalità con le quali oggi, senza nemmeno rifletterci, ci si relaziona allo spazio e ai tempi indiretti o comunque falsati di ogni videochiamata o altre modalità relazionali che implicano un medium digitale.

Secondo la critica e curatrice Roselee Goldberg, Graham ha esplorato i principi di straniamento teorizzati da Bertolt Brecht mettendo in relazione esecutore e spettatore dell’opera attraverso performance, ma anche nel progettare spazi architettonici, come nel caso dei padiglioni presentati in Triennale; Sagitarian Girl (2008) e London Rococo (2012) citano brani di architettura che non rimandano a esperienze e a storytelling “altri”, ma alla presa di coscienza di materiali che, depauperati di una presunta funzionalità (insieme proteggere, custodire e mostrare in una paradossale trasparenza), danno al visitatore la possibilità di praticare un distacco critico da quelle soluzioni che permeano e coordinano gli spazi pubblici. Secondo Maurizio Bortolotti, Graham “ha reinventato l'idea della tipologia del padiglione partendo da un materiale che rappresenta una critica all'uso del vetro per gli edifici aziendali, esprimendo un'idea di sorveglianza nello spazio urbano. L'interazione tra il pubblico e i suoi padiglioni ha creato un approccio diverso al pubblico dell'arte, che appare nei suoi progetti più come persone comuni che vivono nelle città moderne, smantellando qualsiasi idea di un pubblico specializzato.”

Graham ha a lungo coltivato la propria analisi degli spazi non attraverso l’approccio che parrebbe più ultroneo a uno scultore (definizione che in nessun modo gli si può accostare), ma attraverso una pluralità di media. In Kammerspiel de Dan Graham (1988), uno dei saggi più belli che siano mai stati scritti da un artista per analizzare il lavoro di un altro autore, il fotografo canadese Jeff Wall, descrive con raro scandaglio critico un “progetto non realizzato (e possibilmente irrealizzabile) di Dan Graham”, Alteration to a Suburban House (1978), che Wall descrive come un’opera nella quale “il concettualismo è il discorso che fonde insieme tre dei tropi architettonici più risonanti di questo secolo (il grattacielo di vetro, la casa di vetro e la casa suburbana) in un'espressione monumentale di apocalisse e tragedia storica.”

Wall, così come altri commentatori, ha descritto l’uso della fotografia in Graham come strumento per analizzare la serialità dell'architettura e dell'industria, si pensi ad esempio alla seminale ricerca Homes for America (1965-1967/2010), che, lungi dall'essere una tassonomia estetica del paesaggio urbano e suburbano, è un trattato di sociologia e di urbanista di altissimo interesse.

La storica dell’architettura e archeologa dei media spagnola, Beatriz Colomina ha dedicato vari saggi al portato dell’opera di Graham.  Nella raccolta di scritti Dan Graham (“October files”, vol. 11, ed. Alex Kitnick, The MIT Press, 2011) ad esempio, a proposito della facciata delle abitazioni suburbane racconta del ruolo della finestra panoramica a partire dallo spazio domestico: “La finestra panoramica è un elemento integrale della casa americana del dopoguerra. Trasforma l'edificio in una vetrina della domesticità. Non come comunemente si assume che la casa esponga la sua interiorità. Non c'è nessun interno. Ciò che la grande finestra espone non è uno spazio privato ma una rappresentazione pubblica della domesticità convenzionale, un'immagine di ‘normalità socialmente accettata’, per usare le parole di Graham. La finestra panoramica è come una vetrina che vende il sogno americano della classe media, o come un manifesto su cui gli occhi dei passanti non si fermeranno per troppo tempo, non esamineranno attentamente la scena, ma scorreranno rapidamente e poi passeranno oltre, come se non volessero sapere troppo, per non rilevare qualcosa di fuori dall'ordinario. Uno sguardo furtivo. Non è che lo spettatore stia cercando di essere educato. È la propria identità che è in gioco. È il passante che è veramente esposto nei sobborghi, soggetto a tutti gli sguardi nascosti dietro ogni finestra, ogni persiana, ogni tenda. Occhi curiosi, implacabili. Nessuna restrizione qui. Ogni pedone è sospetto. Un intruso.”

Graham ha instancabilmente setacciato questi interstizi spaziali e sociali con la fotografia, con il video e con l’architettura decostruendo, come pochi altri, i dogmi del modernismo e le forme retoriche di presentazione di materiali e documenti all’interno dei luoghi dell’arte. Soprattutto, Graham ha introdotto una dialettica tra la percezione del sé e degli altri corpi, rendendo lo spettatore consapevole di tutto ciò che un semplice riflesso può testimoniare del singolo individuo in una relazione più ambia con gli spazi sociali in cui vive.

Crediti

Tutte le fotografie sono vedute di allestimento della mostra in Triennale The Passing Time City (fino al 12 maggio 2024), a cura di Maurizio Bortolotti e in collaborazione con Estate of Dan Graham e con Ufficio Arte negli Spazi Pubblici del Comune di Milano.
Tutte le fotografie: Gianluca Di Ioia

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