La danza traduce il mondo, la vita non è abbastanza: intervista con Marcos Morau, La Veronal
Barcellona è una città contraddittoria, che sulle proprie differenze vive e si sviluppa. Visionaria e impossibile come la Sagrada Familia. Scontata e triste nei momenti di massima adesione agli stereotipi sulle Ramblas. Quella luce che sembra essere più forte del Mediterraneo e una grandeur locale che frana a poco a poco nella realtà liquida. La statua di Colombo, che guarda lontano, mentre intorno tutti mettono in discussione quei piedistalli patriarcali. Tra New York e Algeri, una meraviglia complessa con mitologie stratificate, quasi costruite alla perfezione per incastrarsi una con l'altra, che superando le distanze restituiscono un'idea. L'idea di città, sospesa tra tempi, emozioni e storie diverse, ma tutte convergenti verso una sensazione di unicità, pur in movimento continuo. Da qui, da Barcellona, nel 2005 Marcos Morau, artista nato a Valencia nel 1982, ha fondato la compagnia La Veronal (con un nome che rimanda a un sonnifero, e questo è un dettaglio intrigante). Ormai da venti anni, porta avanti sperimentazioni di danza e ricerche sulla contaminazione tra varie pratiche artistiche, con uno spirito d'avanguardia che si mette costantemente in discussione e proprio per questo in molti casi ha la capacità di anticipare le percezioni e la lettura delle dinamiche della danza contemporanea, ma anche della società.
Firmamento, © Albert Pons
Firmamento, © Albert Pons
"Non sono un ballerino – ci tiene a dirmi subito Morau, quando gli chiedo della sua idea di coreografia – non ho mai sperimentato i movimenti sul mio corpo, sono sempre stato affascinato dal gioco e dalla creatività che le stanno intorno. Essere un coreografo per me è sinonimo di essere un creativo o un artista che cerca di tradurre il nostro mondo in immagini, situazioni, messe in scena o movimenti di danza". Occhiali rotondi, baffi e occhi sempre in movimento, spesso sopra un sorriso gentile, Morau parla di se stesso e del suo lavoro con una naturalezza che trasmette riflessione e un costante auto-ragionare sul modo di pensare l'arte. "La danza è un buon canale per me – aggiunge – perché è molto liquida, è molto astratta e non definisce nulla in modo concreto. Non ci sono testi come a teatro, o altre forme di scudo o difesa. Essere un coreografo, a mio parere, rappresenta il perfetto bilanciamento tra la libertà e l'astrazione, per poter parlare di diversi argomenti sull'oggi. Credo che come artista io debba fare un compromesso con il mio tempo e cercare di raccontare che tipo di mondo, che tipo di società stiamo creando. Questo compromesso con lo spirito dei nostri tempi è parte dei miei valori come coreografo".
Essere un coreografo per me è sinonimo di essere un creativo o un artista che cerca di tradurre il nostro mondo in immagini, situazioni, messe in scena o movimenti di danza
Allo stesso modo in cui Barcellona costruisce la sua identità plurale, così gli spettacoli de La Veronal portano spesso sul palco molte voci, molti corpi, pluralità che convergono verso qualcosa che, in fondo, è il linguaggio della compagnia, la sua natura più incandescente (che ne ha fatto, come si può leggere in diversi articoli "una delle più importanti al mondo"). "La danza è il linguaggio che ho scelto – mi ha detto ancora il coreografo – e il mondo del teatro o la musica operistica sono cornici dentro le quali mi sono mosso negli ultimi dieci anni come artista, ma che possono essere cambiate. Oggi i confini che separano le diverse tipologie di arte sono molto fragili e fluide. Io sono convinto che dobbiamo superare del tutto questi confini, dobbiamo romperli, per renderle sempre più vicine. Teatro, arte, performance, video: io uso il palcoscenico come un campo di battaglia nel quale tutte queste forme espressive convergono insieme. Siamo nel 2024: nel secolo passato tutto è stato fatto, tutto è già esploso proprio in faccia a noi. Oggi dobbiamo provare a raccogliere l'eredità del passato e renderci conto che queste nuove crisi portano anche nuove opportunità per una diversa forma di creazione. Io credo in questo concetto".
Firmamento, © Albert Pons
Il presente. Questa chimera inafferrabile, questo luogo che è al tempo stesso il vuoto di una società iper-digitale, ma anche lo spazio in cui diventa possibile un'idea vera di contemporaneità filosofica e artistica. Ascoltando Morau che parla con il suo inglese preciso e lievemente venato delle sonorità spagnole si percepisce l'urgenza di un confronto con il presente, con il nostro modo di stare dentro questo contenitore temporale posticcio per molti versi, ma altrettanto necessario. "Non è possibile capire il presente solo attraverso un punto di vista - mi dice - bisogna mettere insieme molti elementi, perché tutto è connesso. Il legame tra le arti e la società la politica e tutto il resto è ovunque, lo vediamo ogni giorno nella nostra vita. Ed esprimerlo solo con il movimento per me non è abbastanza. Al movimento mi piace aggiungere le parole, le luci, la musica, i dipinti… Non voglio dire che tutto questo sia necessario, ma è possibile farlo e io sono convinto che nel momento in cui mi sono aperto a suggestioni diverse ho preso una strada che oggi, posso dire, essere quella giusta per me".
Firmamento, © Albert Pons
Negli spettacoli de La Veronal i performer agiscono a volte all'unisono, a volte intrecciandosi in maniere impreviste, per costruire quella che è a tutti gli effetti una narrazione performata, stratificata, a volte pura danza, ma sempre con una tensione verso altro, verso qualcosa che riesco solo a definire come "ulteriore". E in questa ricerca, che è inesausta e a volte può sembrare anche ai confini dell'ossessione, la chiave d'azione cruciale è il corpo, con tutte le stratificazioni che oggi porta con sé. "Non è possibile pensare il corpo al di fuori del contesto in cui si muove – spiega Morau. Nel XXI secolo il corpo è carico di significati e di eco di quello che vuol dire essere una donna o un uomo o vivere diverse tipologie di identità. Il movimento della danza è senza tempo, è totalmente libero, ma quando parliamo del corpo stiamo parlando di dove viviamo, del contesto in cui ci troviamo: il corpo assume sfumature diverse se ci troviamo in Italia o in Spagna, oppure in Senegal o in Corea… Il corpo è sempre stato presente nella storia dell'arte: nella scultura, nella danza. Nel secolo scorso il balletto classico è stato a lungo il canone, ma oggi, finalmente, il corpo sta sperimentando molti cambiamenti, molta diversità e non avendo più confini c'è la reale possibilità di trovare molte risposte. Oggi puoi cambiare il tuo corpo, non è più un valore assoluto e immutabile, puoi adattarlo al tuo tempo, puoi decidere di essere altro… Oggi il corpo è una sorta di macchinario che sta intorno a te, ma hai la possibilità di controllarlo, per renderlo più vicino a chi tu sei realmente".
Firmamento, © Albert Pons
Tutto molto politically correct, si potrebbe dire con una banalizzazione giornalistica, che però in questo caso sarebbe ingenerosa e in fondo falsa, perché La Veronal ha un approccio articolato, profondo, pone tutte le forme di corpo al centro di una riflessione reale che ruota intorno a un'idea di libertà, che poi viene ovviamente messa al servizio del risultato coreografico e artistico, ma che non perde la propria natura di elemento basilare e fondativo. "Nel mio lavoro e nella mia compagnia il corpo è il canale per esprimere idee, sentimenti e pensieri. Io li uso insieme alle scenografie, ai testi e alle immagini per arrivare a una prospettiva che sia realmente mia, che sia la mia visione del tempo. Io lavoro con corpi diversi: ci sono ballerini professionisti, ma anche persone comuni che hanno meno confidenza con i movimenti, per indagare come si può cambiare il modo di muoversi, anche in base a come il cervello reagisce ai movimenti nelle diverse età: la mia creatività passa anche da qui".
Firmamento, © Albert Pons
Morau è stato definito da più parti un artista "visionario", un termine che oggi nel discorso artistico paga certamente un prezzo all'abuso che ne viene fatto nella pubblicistica, a tutti i livelli. Ma poi scavando sotto la comunicazione più o meno da PR, è anche un aggettivo che porta a una domanda vera: quella su che cos'è oggi la visione di un artista. "Per me – dice Morau – significa provare a guardare avanti, cercare di capire come il linguaggio artistico si modificherà nei prossimi anni. Come artista voglio essere comunque avanti, non nel senso di essere il primo, ma di provare ad anticipare. L'arte da sempre cerca di camminare un po' più avanti della storia e della società. Quando ti definiscono visionario significa che sei consapevole di quello che sta succedendo nel mondo e di come le regole della società, ma anche della creatività e dell'arte in generale si stanno evolvendo, stanno andando avanti. Tutto cambia continuamente e noi dobbiamo essere in grado di seguire questi cambiamenti, perché restare fermi significa la morte. Questo movimento di cambiamento è parte della nostra naturale vita organica".
Firmamento, © Albert Pons
L'intervista sta volgendo alla fine, ma, poiché stiamo ragionando sul senso profondo di una pratica artistica complessa e viva, come quella della danza, non riesco a non porre l'ultima domanda, una specie di colpo di coda scontato, ma in un certo senso anche un po' rischioso. Non riesco a non chiedere a che cosa serve l'arte, secondo Morau. "L'arte per me – mi risponde facendo risuonare mille campanelli autobiografici nella mia testa – è stata uno strumento di salvezza, perché la vita non è abbastanza. La realtà, quello che definiamo realtà, è a suo modo pericolosa, perché non c'è un solo tipo di realtà, ne viviamo diverse, tutte insieme. Io utilizzo l'arte per poter cambiare ogni volta e crescere come artista, come traduttore del mio tempo. In questo senso l'arte è necessaria. È salutare". Forse rischiare la "grande domanda" vale la pena, mi dico rileggendo un'altra volta la risposta.
La Veronal a FOG Festival presenta lo spettacolo Firmamento. Dice Morau: "Parla di un giovane che deve diventare uomo e guardandosi indietro deve affrontare moltissime domande sulla vita, la memoria, l'educazione. Queste domande alla fine ti seguiranno per tutta la vita ed è importante capire che, anche in questo senso, anche in questa prospettiva, l'arte può rappresentare una forma di salvezza".