Quelli della sostenibilità e dell’ambiente sono due dei temi cruciali del nostro presente, che non potevano non condizionare le riflessioni e i lavori intorno alla 23ª Esposizione Internazionale di Triennale (15 luglio – 11 dicembre 2022). Ed è proprio nell’ottica della sostenibilità e del riuso che viene realizzato l’allestimento della mostra tematica Unknown Unknowns (curata da Ersilia Vaudo, astrofisica e chief diversity officer dell’ESA), centro nevralgico dell’esposizione. Progettato da Space Caviar e realizzato da WASP, l’allestimento è direttamente creato negli spazi di Triennale attraverso la stampa 3D, utilizzando uno speciale materiale di origine naturale in gran parte derivato da sottoprodotti dell'industria agroalimentare: RH400-3D (brevettato da Ricehouse), un premiscelato a base di argilla naturale proveniente dalla risaia, in combinazione con lolla e paglia di riso ideata appositamente per processi di stampa additiva in 3D. Il prodotto innovativo è stato appositamente sviluppato per resistere al carico degli strati superiori stampati durante la posa, e la miscela è in grado di assolvere alle funzioni fondamentali delle costruzioni attraverso il suo impiego nella progettazione digitale. In vista della mostra abbiamo avuto il piacere di intervistare l’architetto britannico Joseph Grima, co-fondatore dello studio Space Caviar.
© Space Caviar
Il futuro della pratica allestitiva: il caso Unknown Unknowns
Quando siamo stati incaricati da Triennale di occuparci dell’allestimento per la 23ª abbiamo subito avviato un ampio e approfondito dialogo con Ersilia Vaudo. Ne è emerso il desiderio di espandere la visione della mostra Unknown Unknowns oltre i normali confini dell’architettura. Il nostro modo di progettare lo spazio intorno a noi si determina anche in funzione delle condizioni terresti in cui abitiamo. In riferimento al tema della mostra – lo sconosciuto –, certamente di sconosciuto sulla Terra c’è molto, anche se ovviamente uno dei focus principali della nostra curiosità come specie umana è quello di andare oltre la Terra, oltre i confini della spazio, che è regolato dalla matematica e dalla fisica, con cui noi progettisti siamo abituati a interfacciarci. Abbiamo perciò iniziato a fare ricerca su come si progetta e su come si costruisce al di fuori del Pianeta Terra. Negli ultimi decenni, soprattutto in anni recenti, c’è stata una rinnovata spinta alla colonizzazione, al viaggiare oltre i confini terresti, e contestualmente sono state fatte molte prove per metodi di costruzione che siano indipendenti dai materiali reperibili sulla Terra. Siamo venuti a conoscenza di ricerche fatte recentemente sull’utilizzo di sostanze ed elementi che si possono trovare sulla Luna, su Marte o su altri pianeti e che siano adatti alla trasformazione in materiali di costruzione attraverso la stampa 3D. Da qui c’è venuta l’ispirazione che ci ha portato a contattare WASP, azienda italiana all’avanguardia nella produzione di stampanti 3D a scala architettonica. Abbiamo provato a immaginare insieme un sistema di allestimento che potesse essere stampato in loco. Come per molti altri nostri allestimenti, volevamo prestare particolare attenzione al tema dei materiali che si utilizzano, perché purtroppo gli allestimenti possono facilmente diventare grandi produttori (collaterali) di scarti e rifiuti, giacché le mostre sono temporanee. Quindi ci siamo approcciati a questa mostra anche come a un’opportunità di ricerca su quali possano essere le alternative all’utilizzo di materie prime altamente processate e lavorate (come il cartongesso), che sono difficilmente riutilizzabili. E uno degli aspetti più interessanti della stampa 3D è che in realtà si tratta di una pratica che si presta all’utilizzo di materiali molto grezzi, come terra o argilla; materiali organici assolutamente biodegradabili che possono essere poi riportati in natura. C’è sembrata un’occasione molto importante per questa mostra: da una parte utilizzare la tecnologia della stampa 3D per introdurre anche una nuova idea di estetica, una geometria dello spazio che possa essere prodotta solamente attraverso questi mezzi; dall’altra proporre una palette di materiali completamente diversa da quelle che normalmente si vedono nelle mostre, che generalmente dipendono da materiali molto più vicini a quelli dell’edilizia.
Ph.: Delfino Sisto Legnani – DSL Studio © Triennale Milano
La gravità come progettista
Una volta identificato il metodo allestitivo è iniziata una lunga fase di ricerca insieme a WASP su come i vincoli dello spazio in questione – ovvero la curva superiore del Palazzo dell’Arte (realizzato negli anni Trenta da Giovanni Muzio) – potessero essere combinati con i limiti e le potenzialità delle stampanti 3D. Molto velocemente, date le dimensioni piuttosto significative dell’allestimento necessario, abbiamo deciso di stampare in loco utilizzando delle grandi stampanti adatte a passare attraverso lo spazio e a essere progressivamente spostate, depositando punto per punto piedistalli, plinti e altri supporti necessari. Serviva però una regola per interfacciarci con le geometrie dello spazio progettato da Muzio. Così abbiamo sviluppato un sistema geometrico che ha come riferimento un punto che normalmente è completamente “invisibile”: il centro di rotazione che descrive la curva stessa, che ne determina la geometria. Lavorando in uno spazio non lineare o rettilineo bensì orbitale abbiamo potuto produrre una serie di forme, volumi e relazioni tra oggetti molto più dinamica e fluida. Anche in questo caso ci siamo rifatti alle idee di Vaudo, che permeano la mostra. La curatrice parla della gravità come progettista, di come molte delle nostre scelte progettuali siano determinate dalla presenza stessa della gravità.
Organico e locale: la lolla di riso
Visto che sarebbe stato difficile immaginare il riutilizzo di questi plinti e podi – le cui forme sono specificatamente legate alle geometrie dello spazio del Palazzo dell’Arte – volevamo utilizzare un materiale povero che potesse essere smaltito senza arrecare danni all’ambiente. Per questo motivo abbiamo collaborato con Ricehouse, azienda piemontese di Biella specializzata nella produzione di materiali edili biodegradabili, o comunque di origine organica. Ci hanno proposto di utilizzare una serie di materiali frutto della loro ricerca, basati su scarti dell’industria agroalimentare, biodegradabili e di produzione locale. Abbiamo sfruttato questa occasione come opportunità di ricerca per un’idea di produzione il più possibile legata al locale, basata su materiali presenti nel posto in cui si opera. È stato quindi utilizzato uno dei prodotti di scarto del processo di produzione del riso: la lolla. Un materiale normalmente scartato è diventato il legante che tiene insieme l’allestimento stampato in Triennale. Scopri di più
© Ricehouse
Reinventare il nostro linguaggio estetico
Rispetto all’exhibition design ci siamo abituati a un’estetica molto specifica, e ce l’aspettiamo puntualmente quando andiamo a vedere una mostra. Siamo abituati a un certo linguaggio basato su certi materiali. Ritengo che man mano che cresce la nostra consapevolezza rispetto alla problematica ambientale dovremmo reinventare anche il linguaggio estetico che governa le pratiche per la produzione culturale e per la realizzazione di grandi mostre. Sono del parere che questo periodo di grandi trasformazioni vada vissuto come un momento di opportunità, non come una penalizzazione. Penso che ciò possa aprire nuovi orizzonti di sperimentazione ed esplorazione. Questa è la prima volta che l’allestimento di una mostra viene interamente stampato in 3D, interamente in loco e interamente con materiali bio. Sono state sfide molto complicate da superare. C’è stato un anno e mezzo di lavoro di ricerca dietro. Ma come sappiamo una volta che le cose sono state fatte una volta diventano molto più facili. E non è nemmeno detto che necessariamente la stampa 3D sia il modo più semplice, conveniente o intelligente di produrre allestimenti. Penso che in ambito architettonico si aprano molte opportunità. E la nostra collaborazione con WASP è stato anche un modo per testare alcune tecniche produttive che abbiamo poi intenzione di provare su scale maggiori. La cosa più importante è stata portare questo tema al centro di un evento così rilevante come la 23ª. Perché se una grande istituzione con visibilità internazionale come Triennale è in grado di puntare un faro su questa tematica, ciò avrà ripercussioni positive su altre istituzioni culturali che vedono Triennale come un punto di riferimento.
Ph.: Delfino Sisto Legnani – DSL Studio © Triennale Milano