Nell’ambito del percorso di approfondimento dei temi di Unknown Unknowns. An Introduction to Mysteries, 23ª Esposizione Internazionale di Triennale Milano, abbiamo coinvolto a partire da giugno 2021 ricercatori, dottorandi e studenti delle università milanesi e la rete delle comunità straniere in una serie di incontri e seminari organizzati e coordinati da Pupak Tahereh Bashirrad, architetto e dottore di ricerca.
La percezione del tempo è da sempre uno dei più grandi misteri per l'uomo, così come per uno scienziato che, come uno storico, studia il passato per conoscere il presente e fornire delle previsioni sul futuro. A seconda delle discipline, le scale temporali possono essere profondamente diverse. Immaginando di comprimere la storia – di quasi 15 miliardi di anni – dell’Universo, in un singolo anno solare, la Terra farebbe la sua comparsa solo il 16 settembre, ed è proprio questa la data limite a cui tende la geologia. Per la nascita della vita bisogna attendere fino al 26 ottobre, con la formazione dei primi organismi, che si diversificano durante il mese di novembre. L'uomo, infine, come primate, fa la sua comparsa all'alba del 31 dicembre; mentre l'avvento dell'homo sapiens sapiens, e tutta la storia dell'uomo moderno, sono condensati negli ultimi due minuti dell’anno.
Una veduta del buco nero supermassiccio M87 in luce polarizzata, 24 marzo 2021, foto Wikimedia Commons
Il fascino dell'astrofisica risiede nel fatto che, per quanto concerne il passato, si è in grado di studiarlo addirittura vedendolo direttamente, riuscendo così a compiere una sorta di viaggio a ritroso nel tempo. Un astro del cielo può infatti essere osservato quando riceviamo la luce che ha emesso. Nel momento in cui la luce lascia una stella, questa deve viaggiare nello spazio per arrivare fino a noi sulla Terra, ma solo dopo un certo tempo sarà in grado di raggiungere il nostro occhio, permettendoci di osservare quell’astro nel cielo notturno, in quanto la velocità della luce è sì molto alta, ma finita: circa 300 mila chilometri al secondo. Pertanto, più una stella è lontana, più la vedremo nel passato, guardando ancora più indietro nel tempo. Poco tempo fa è stato possibile fotografare per la prima volta un buco nero, o meglio, il gas che circonda il buco nero supermassiccio al centro della galassia M87. La distanza di oggetti astrofisici spesso viene espressa in termini di anni luce: significa che, distando per esempio quel buco nero circa 55 milioni di anni luce da noi, la luce emessa dal gas ha viaggiato per ben 55 milioni di anni prima di raggiungerci. Aver fotografato quel buco nero ci ha permesso pertanto di immortalare un oggetto come appariva 55 milioni di anni fa.
Olivi centenari della D.O. Bajo Aragón, nella regione di Matarraña, a Teruel, photo Wikimedia Commons
Siamo abituati a pensare al tempo come lineare e assoluto, ma è effettivamente così, o è un inganno della nostra percezione? Il tempo sembra scorrere con una velocità costante, che può essere scandita dal ticchettio di un orologio. Tuttavia, gli orologi non ticchettano sempre alla stessa velocità, essendo il tempo in realtà relativo. Il secolo scorso Albert Einstein scoprì che il tempo è strettamente correlato alla velocità con cui noi stessi ci muoviamo: più andiamo veloci, più il tempo si dilata e scorre lentamente. Andare nel futuro sarebbe quindi teoricamente possibile, a patto di muoversi a una velocità prossima a quella della luce.
Il tempo in geologia è un’unità di misura fondamentale in quanto permette di descrivere l’evoluzione dei paesaggi e degli ambienti a diverse scale temporali. Per il geologo assume una connotazione materiale, poiché una roccia rappresenta un determinato evento che ha portato alla sua formazione (da un’eruzione vulcanica, alla ciclica deposizione di una sabbia sulla spiaggia o una frana). Come in astrofisica la luce delle stelle che osserviamo oggi corrisponde ad un tempo passato, così le informazioni che ci tramandano le rocce raccontano di un tempo del nostro pianeta in cui sussistono ambienti e paesaggi diversi da oggi.
Nella scala temporale di milioni di anni la geologia può osservare l’innalzarsi di una montagna, l’aprirsi degli oceani e il cambiare delle condizioni climatiche. Se dunque pensiamo al tempo come qualcosa di materiale comprendiamo subito che una moltitudine di eventi può essere “registrata” in pochi centimetri di roccia o in centinaia di metri. Inoltre, la materia può disgregarsi ed ecco quindi che il tempo viene “cancellato” (si pensi alla completa erosione di una montagna). Pertanto anche in geologia il tempo non è né lineare né continuo, ma spesso risulta compresso e con numerosi salti. Il compito del geologo è quindi quello di studiare la materia attraverso i minerali e i fossili che compongono l’ammasso roccioso, con lo scopo ultimo di raccontare la complicata storia del nostro tumultuoso pianeta dalla sua formazione fino a oggi.
Anche in biologia ed ecologia il tempo è una grandezza fondamentale. Cosa c’è di più sensibile allo scorrere del tempo se non la vita stessa? Anche qui il concetto di relatività trova ampio riscontro con scale temporali molto variabili a seconda dei fenomeni considerati. Se ad esempio guardiamo ai processi metabolici e alle reazioni enzimatiche che hanno luogo all’interno delle cellule, i tempi con cui essi avvengono sono estremamente rapidi. Muovendoci un gradino sopra nella scala di complessità biologica, il tempo di vita degli organismi, ovvero il loro ciclo vitale, può essere molto variabile. Alcuni organismi unicellulari, ma anche molte cellule del nostro corpo ad esempio, possono vivere minuti, ore o giorni, ma altre forme viventi sono in grado di vivere per mesi, anni e anche millenni, come l’ulivo di Luras, in Gallura che ha un'età stimata di circa 4000 anni.
In ecologia il tempo è un fattore necessario per l’evolversi delle comunità. Le comunità viventi infatti sono sistemi dinamici, che mutano nel tempo, cambiando composizione e struttura. Questa evoluzione avviene lungo scale temporali di decine, centinaia e migliaia di anni. Ben più ampio è invece l’arco temporale richiesto dai processi evolutivi, che hanno portato, e portano tuttora, alla nascita di nuove specie. Tuttavia, il tempo ha anche una caratteristica intrinseca cui non si può sfuggire: continua a scorrere e non è possibile tornare indietro nel passato. Milioni sono le forme di vita che si sono estinte soprattutto durante le estinzioni di massa, brevi periodi in cui almeno tre quarti delle specie viventi sono scomparse. Le grandi estinzioni, seppur distruttive, costituiscono però anche il motore dell’evoluzione in quanto dopo di esse la biodiversità esplode e il pianeta viene colonizzato da nuove forme viventi, evolutesi da quelle sopravvissute.
Blue Whale, photo Wikimedia Commons
Non si può parlare di tempo senza riflettere sul fatto che esso è anche una caratteristica intrinseca dell’uomo. Il ritmo circadiano è nel suo complesso il nostro “orologio biologico” che, come un vero orologio, scandisce il trascorrere delle ore in base ai cicli luce-buio, per permetterci di adattarci all’ambiente che ci circonda. Non è nemmeno una esclusiva umana: pressoché tutti gli esseri viventi hanno qualcosa di simile, dalle singole cellule fino ad arrivare agli organismi più evoluti. Esso è costituito da tanti piccoli orologi, uno per ogni cellula per la precisione, che, nonostante siano a noi invisibili, si assicurano che facciamo la cosa corretta nel momento giusto. Grazie, infatti, ai processi fisiologici che avvengono nel nostro organismo, il nostro corpo “risponde” allo scorrere delle ore e si adatta a svolgere specifiche funzioni in ogni fascia oraria (ciclo sonno-veglia). Gli ingranaggi di questo meccanismo consistono in geni e proteine che si trovano all’interno di ogni cellula, e lavorano su cicli di circa 24 ore (da cui il nome). Negli organismi complessi, ed in particolare nei vertebrati, gli orologi cellulari sono tra loro coordinati da un orologio centrale, che si trova nel cervello, e che lavora sfruttando la presenza o meno della luce, per potersi sincronizzare con il momento effettivo della giornata.
Alla luce di tutte queste considerazioni, sì può affermare che il tempo per gli scienziati è un vero e proprio senso, attraverso il quale si percepiscono i fenomeni e si studiano i processi per ampliare la conoscenza, seppur rimanga uno strumento particolare e ancora poco conosciuto. La sua definizione e il modo in cui viene concepito sono infatti strettamente dipendenti dalla nostra stessa percezione: la scienza si riferisce esclusivamente ad un tempo noto, a cui possiamo accedere (come la luce delle stelle, gli strati di roccia o le nostre cellule). L’ignoto resta quindi confinato in quel tempo passato (e futuro?) che non possiamo osservare o percepire, costituendo il concetto stesso degli "unknown unknowns".