Chi come me proviene dal mondo della musica che abitualmente chiamiamo classica conosce bene i numerosi aneddoti sull'atletismo fisico di esecutori e interpreti: un esempio è la leggenda sulle sedici ore di studio consecutivo praticate dal pianista Arturo Benedetti Michelangeli. Oppure la storia del compositore Robert Schumann che, nel tentativo di aumentare la flessibilità delle sue dita con un congegno meccanico in pieno stile steampunk, si lesionò permanentemente la mano destra stroncando sul nascere la sua carriera di strumentista.
Corpi al servizio della musica
Al di là della veridicità di queste narrazioni, e anzi considerandole almeno in parte miti, è interessante come in certa aneddotica non possa mancare un corpo che, al fine di raggiungere un risultato estetico eccelso, viene sottoposto a un durissimo allenamento basato sulla rinuncia o sulla disciplina. Questo approccio sublime e tragico alla musica non è l'unico possibile: per dimostrarlo sfrutterò – come controesempio – la performance Open Machine diretta da Vittorio Cosma per Triennale Milano (in occasione della quinta edizione del festival FOG) il 6 maggio 2022 presso Il Lazzaretto.
Un musicista globale
Cosma si è imposto nel panorama musicale italiano come componente della PFM, collaborando poi con numerosissime realtà sospese fra i vari strati della cultura: da Elio e le Storie Tese al Festival di Sanremo, dalle colonne sonore per il cinema italiano indipendente alle produzioni trans-disciplinari di opere d'arte totale (Indeepandance). Il progetto Open Machine è appunto una delle sue ultime fatiche, di cui sono già state presentate diverse repliche all’interno della programmazione di Triennale. A dirla tutta è improprio parlare di replica: le performance di Open Machine non possono infatti avvenire due volte allo stesso modo perché sono happening improvvisativi, in cui i musicisti non predeterminano cosa e come suoneranno insieme e il pubblico viene coinvolto nella costruzione dell'edificio musicale.
Per una semplicità
Il concetto di improvvisazione libera, nato nel secondo dopoguerra nel contesto del jazz e della musica classica d'avanguardia, può evocare l'idea della difficoltà d'ascolto e della complessità, come testimoniano molte delle improvvisazioni dello storico gruppo Nuova Consonanza. Tuttavia, non è questa la strada che il nostro Cosma sembra aver voluto percorrere, almeno a giudicare da Botanica, la performance che ha tenuto coi Deproducers presso il Global Seed Vault, che può servire a farci un'idea di quelle dirette per Triennale. Il brano dei Deproducers è un ottimo esempio di minimalismo musicale: su un tappeto armonico più o meno stabile i musicisti dialogano con brevi semifrasi, in un'atmosfera in cui l'ascolto e la coordinazione diventano più importanti della propositività discorsiva. Il rispetto della logica del dialogo e la gradualità nel cambiamento sono i fattori che ci permettono, ascoltando un brano come Botanica, di adattarci gradualmente e di seguire il flusso musicale senza fatica.
Deproducers – Botanica – The Global Seed Vault Performance
Oltre la prescrizione
Dicevo all'inizio di corpi atletici e disciplinati, messi al servizio del compito che devono svolgere. La caratteristica principale dell'improvvisazione al buio è proprio quella di eliminare il riferimento incarnato dell'opera musicale, intesa sia come partitura scritta o progetto, sia come sistema di aspettative, paure e inibizioni. Questi elementi psicologici di autocensura Stephen Nachmanovitch li chiama “spettri del giudizio”. Quando un musicista viene privato di riferimenti esterni è costretto a un grandissimo sforzo di presenza, volto ad armonizzare una dimensione esterna, ossia la musica, con le sue esigenze strutturali in divenire, con la propria immaginazione interna, che si attacca all'intuizione dei possibili sviluppi della creatura musicale ed è legata al desiderio. La difficoltà di questa mediazione è accentuata dagli spettri del giudizio, le voci interne che valutano ciò che facciamo costantemente e ci confrontano con i modelli introiettati. Durante un'improvvisazione, però, non c'è tempo di dare ascolto alle prescrizioni e alle critiche di questi spettri, e si è dunque costretti a liberarsene, raggiungendo la piena coincidenza di sé con la continuità dell'azione musicale.
Musica al servizio dei corpi
C'è un altro aspetto di liberazione nella pratica dell'improvvisazione collettiva. Se è vero che “quando ci si mette a fare musica insieme […] si vale tutti allo stesso modo” (Vittorio Cosma, da un intervento per TEDxVarese ed è possibile comunicare anche con persone che provengono da culture molto diverse, l'asimmetria delle competenze strumentali può rappresentare una “barriera architettonica” non indifferente. Nel contesto improvvisativo, però, ogni partecipante è responsabilizzato a proporre idee musicali che siano alla portata degli altri e, parallelamente, è sufficiente saper battere le mani per apportare un contributo. Da questo deriva una doppia consapevolezza: da una parte che la relazione con gli altri è ineliminabile, dall'altra che non esistono materiali di scarto o di disturbo. Se per un normale concerto è necessario escludere i rumori della vita quotidiana, come il traffico o le voci dei passanti, durante un'improvvisazione questi stessi rumori possono essere utilizzati come materiali fondanti dell'edificio musicale. Ecco dunque che la musica smette di sembrare il masso di Sisifo – un grande fardello da portare o un compito per cui essere all’altezza – e diventa un rito collettivo elastico e accogliente, in cui ognuno è chiamato a essere non più di ciò che è.
Riproducibilità tecnica ed ecologia musicale
L'improvvisazione libera riporta infine la musica alla sua dimensione effimera, al suo essere nata per morire: la musica suonata ha bisogno della nostra azione e della nostra presenza, resiste alla riproduzione. Questa non è soltanto una caratteristica ma una vera e propria vocazione, il che spiega perché tanti fra i musicisti che hanno dato vita al genere avessero un pessimo rapporto con le tecniche di registrazione musicale. Oggi, per noi, l'improvvisazione può diventare una pratica di ecologia musicale, a patto di immaginare come un ambiente ecologico quello rappresentato dall'insieme formato dai partecipanti, dal luogo fisico in cui la performance si produce e dall'edificio musicale. Come ha messo in luce Timothy Morton, un ambiente si dice infatti ecologico quando ogni elemento che lo compone è contemporaneamente in relazione con tutti gli altri, volente o nolente. In questo senso, il tipo di azione musicale attraverso cui Vittorio Cosma e Open Machine guideranno il pubblico è uno dei pochi in cui il personalismo e il rifiuto dell'ascolto mostrano immediatamente i loro effetti negativi, traducendosi in squilibri e cacofonie – uno dei pochi in cui, se non partecipi, puoi essere certo che il risultato cambia.
Bibliografia essenziale
D. Bailey, Improvisation. Its Nature and Practice in Music, Hachette Books, 1993
W. Benjamin, L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica, Einaudi, 2000
T. Morton, Ecologia Oscura, Luiss University Press, 2021
S. Nachmanovitch, Free Play: Improvisation in Life and Art, Penguin Publishing Group, 1991