Negli ultimi anni il team curatoriale di Triennale Milano ha consolidato una rete di collaborazioni a livello internazionale, portando le idee e il design del Palazzo dell’Arte in tutto il mondo: “Da Rotterdam a Salvador e Rio de Janeiro in Brasile, e ora a Londra”, rimarca il Presidente Stefano Boeri. Forse il fatto che siano tutte città portuali è una coincidenza, tuttavia esiste una sovrapposizione tra lo scambio culturale contemporaneo e quello storico basato sull’industria e il capitale. L’acqua, al tempo stesso simbolo di divisione e tessuto connettivo tra nazioni, idee e desideri lontani, è molto presente nei moderni sistemi di scambio – pensiamo alle modalità contemporanee di collegamento ma anche a storie antiche di schiavitù, colonialismo e conquista.
Davide Trabucco, Wall Atlas: Luigi Moretti, Multifunctional complex, Milan, Italy, 1949-1955 and SS Andrea Doria, 1951-1956
Questi sono soltanto alcuni dei temi che affiorano nel padiglione italiano alla London Design Biennale 2023, con la mostra Unseen Collaborations curata da Marilia Pederbelli e Marco Sammicheli, rispettivamente assistente alla curatela di Triennale e direttore del Museo del Design Italiano. Sammicheli spiega come l’esposizione, composta dalle opere di quattro creativi, “allarga il proprio orizzonte dall’Italia ad aree geografiche lontane e molto diverse tra loro” e lo fa rievocando il romanticismo e la gloria della navigazione sulle navi da crociera, ma anche riflettendo sui quadri geopolitici di riferimento.
Davide Trabucco, Wall Atlas: Apollodorus of Damascus, Pantheon, Rome, Italy, 113–125 AND Marcello Mascherini, Stories of Jason and the Golden Fleece, Ceiling of the first-class veranda, SS Conte Biancamano, 1949
Gustavo Pulitzer-Finali, Furnishing of a ship's veranda, ‘Mostra dell’arredamento’ (Furnishing Exhibition), 6th Triennale di Milano, 1936, ph. Crimella, Triennale Milano – Archives
Tra le righe, le opere descrivono le navi come strumenti di potere, sia a livello militare e commerciale sia attraverso il soft power della cultura. Wall Atlas (2023) di Davide Trabucco sovrappone creativamente collisioni estetiche tra le architetture e i transatlantici italiani dell’anteguerra. Quelle imbarcazioni non si limitavano a trasportare l’alta borghesia e l’élite verso destinazioni esotiche, erano anche mezzi di promozione della cultura e della politica italiana. Da allora le loro dimensioni hanno cominciato ad aumentare e anche se oggi sembrano minuscole rispetto alle moderne navi da crociera che quando entrano a Venezia sovrastano i palazzi, esse crebbero in altezza e prestigio – lo si nota dalla ricchezza e dalla qualità degli arredi e dei tessuti usati a bordo.
I loro interni diventarono veri e propri progetti architettonici e forse non sorprende che il poliedrico Gio Ponti – la cui carriera spazia tra design, architettura e arte – avesse un forte interesse per i transatlantici e il loro design. Le immagini d’archivio di Triennale e le fotografie sovrapposte create da Trabucco appositamente per il padiglione italiano dimostrano che gli arredi delle cabine dei transatlantici non erano meno grandiosi di quelli delle stanze progettate in terra ferma, ed erano al tempo stesso gigantesche vetrine galleggianti in cui si celebrava lo stile, l’arte e il design industriale italiano.
Gio Ponti, Luxury cabin for transatlantic liner developed by the firm Ditta E. Quarti S.A., 4th Triennale di Monza, 1930, ph. Girolamo Bombelli, Triennale Milano – Archives
Anche l’opera site specific di Melania Toma illustra l’idea della nave da crociera come vetrina della creatività contemporanea. Miraggio - Casa I e II (2023) sono caotici intrecci che rappresentano gli arazzi e i tappeti commissionati per decorare le grandi navi italiane del Novecento. Così come le imbarcazioni trascorrono la maggior parte del tempo tra un luogo e l’altro, anche gli arazzi di Toma abitano un luogo intermedio, tra casa e vacanza, tra comfort e fuga, tra funzione e arte.
Unseen Collaborations exhibition view, the Italian Pavilion at the London Design Biennale, photo Taran Wilkhu
È proprio questa idea di fuga controllata l’attrattiva più seducente del viaggio in crociera, quella che ha alimentato le innumerevoli fantasie su un’esistenza in mare aperto e su città galleggianti – pensiamo all’Isola a elica di Jules Verne, alla nave Satoshi per criptovalute recentemente fallita, o all’ambizioso complesso industriale galleggiante Oxagon progettato da Bjarke Ingels Group per l’Arabia Saudita. Questi ingegnosi piani di fuga sono solitamente legati al desiderio di liberarsi dalle tasse e dai vincoli dei contratti sociali nazionali, mentre le popolazioni galleggianti in realtà sono solo di rado conseguenza di una scelta di lusso; più spesso nascono in seguito a pressioni politiche e antropiche: Venezia è stata creata fuggendo dai Longobardi, le baraccopoli sull’acqua in Lagos (Nigeria) sono nate in seguito all’innalzamento del livello dell’acqua e gli indigeni Uros in Bolivia hanno creato isole galleggianti sul lago Titicaca per allontanarsi dalla minaccia di invasione degli Inca.
Philippe Tabet, Order, 2017, photo Zep Studio
Philippe Tabet, Order, 2017, photo Zep Studio
Si tratta di dimore forgiate dalla paura, dal bisogno e dalla necessità, impiegando modalità artigianali e design ben consolidati nel sapere della comunità e all’interno di storie collettive invisibili che per noi abitanti del Nord globale sono in gran parte anonime. L’opera Order (2017) di Philippe Tabet, in mostra nel padiglione Italia, parla di questa idea di “fuga attraverso l’artigianato” e di invisibilità. La sua griglia di maschere – stampate in alluminio fuso, in legno multistrato e in ceramica smaltata – evoca l’equipaggiamento protettivo indossato dai lavoratori e celebra la diversità dei materiali, ma rappresenta anche le competenze anonime e i creatori ignoti. Come sappiamo dai carnevali veneziani, la maschera offre l’anonimato, anche se di solito l’invisibilità non è una scelta ma viene imposta da condizioni culturali e politiche, che tendono a nascondere le storie delle persone.
Liu Xiaodong, Steel 6, 2016
Nel padiglione italiano sono i dipinti di Liu Xiaodong a rivelare tali storie, eliminando l’anonimato dalla politica e dalla cultura della crociera. Steel 6 (2016) fa parte di una serie più ampia di dipinti che documentano i processi di demolizione delle grandi navi in disuso e ritraggono le persone coinvolte in questa industria letale e per lo più ignorata. I processi di rottamazione e l’impatto del design – un dramma vissuto da oltre 25.000 persone che lavorano nel sito di demolizione navale di Chittagong sulla costa del Bangladesh, visitato da Xiaodong per fotografare la realtà che ha ispirato i suoi dipinti – sono invisibili eppure profondamente radicati negli interni immacolati, nelle finiture sublimi e nell’evasione creativa che da sempre animano l’industria delle navi da crociera. E probabilmente tutta l’industria del design.
Celebrare un singolo progettista o un singolo oggetto di design significa non riconoscere le collaborazioni invisibili che hanno contribuito alla realizzazione, all’esistenza e al post-uso di un progetto e indirettamente Sammicheli e Pederbelli hanno messo in discussione questi processi nascosti. Di recente il governo italiano guidato da Fratelli d’Italia ha annunciato che lo storico veliero della Marina intitolato al mercante ed esploratore Amerigo Vespucci salperà per un viaggio intorno al mondo con l’intento di far conoscere il “Made in Italy” e costruire l’identità di un moderno soft power. Mentre la nave farà scalo nei porti del Nord e del Sud del Pianeta promuovendo la cultura e la politica italiana, sarebbe utile interrogarsi su quali siano le collaborazioni invisibili che hanno contribuito a costruirle e quali sono gli effetti geopolitici e antropici nascosti.