ujumbe, il messaggio dell'arte: intervista a Louise Manzon e Luca Beatrice
Il padiglione del Kenya, parte della 23ª Esposizione Internazionale di Triennale Milano, consiste in un progetto che parla di misteri subacquei e allarme ambientale. Abbiamo intervistato l'artista Louise Manzon e il curatore del padiglione Luca Beatrice, approfondendo alcune questioni legate all’impatto dell’arte sul pubblico e al ruolo della bellezza nella salvaguardia dell’ambiente.
Louise Manzon, da sempre attenta al rapporto tra scultura e natura nella propria pratica, presenta ujumbe, “messaggio” in Swahili, lavoro che popola il padiglione di creature marine portatrici di un grido d’allarme contro le sostanze tossiche presenti nelle nostre acque. Il loro lamento porta a galla questioni ad oggi ancora sconosciute, come la mancanza di informazioni sufficienti sull’effetto cocktail delle sostanze chimiche nelle risorse idriche.
Inquinamento Industriale, particolare
Qual è lo scopo di ujumbe e come si inserisce nella pratica artistica di Louise?
Louise Manzon: Come artista cerco sempre, in tutti i miei progetti, l’energia della bellezza e la forza dell’armonia per riuscire a trasmettere dei messaggi scomodi. Triennale Milano mi ha fornito una piattaforma perfetta per questo scopo, per poter comunicare un messaggio urgente, volto alla tutela del nostro pianeta. Presentando ujumbe, un ambiente immersivo popolato da immagini assordanti, credo di essere riuscita a creare una sorta di empatia con il visitatore, e di aver smosso le coscienze del pubblico con le sole forze della poesia e della bellezza. È con la delicatezza che si arriva al cuore delle persone, con un’azione continua ma silente.
Il padiglione è impattante, con un contrasto di luce e buio. Quanto conta, per l'impatto sul pubblico e per la resa dell’opera, l’allestimento?
LM: Anche l’allestimento veicola un messaggio, un messaggio di allarme e di emergenza che, in quanto tale, deve essere immediato e di facile comprensione, per qualsiasi tipo di pubblico. Abbiamo cercato di catturare l’attenzione dello spettatore da un punto di vista estetico anche in questo senso, in un’atmosfera avvolgente e di forte impatto visivo. L’idea è quella di suscitare interrogativi ed emozioni che facciano leva sull’istinto di chi guarda, per poi coinvolgerlo a livello intellettuale.
Luca Beatrice: Penso che l’allestimento costituisca sempre un valore aggiunto nella lettura dell’opera, soprattutto quando ci si ritrova in un contesto come quello dell’Esposizione Internazionale, con un’ampia varietà di artisti, impazienti di arrivare al pubblico con il proprio messaggio. Il lavoro fatto sull’allestimento è un punto a favore per le opere presentate, che ne guadagnano in facilità di lettura e suggestione. Oltre al discorso ambientale, quello che mi colpisce del lavoro di Louise è l’ironia delle sue figure. In fondo i suoi sono dei pescioni che spuntano dal buio, arrivando chissà da dove, e che ti guardano con un’aria indifferente; un’ironia che aiuta a comprendere le opere e tutto ciò che ci sta dietro.
Spostando il focus della nostra conversazione sulla materialità delle opere, quali sono i materiali utilizzati nelle sculture esposte?
LM: A me piace utilizzare materiali poveri ed ecosostenibili, non solo per tradurre il mio messaggio da un livello concettuale a uno materico e pratico, ma anche perché mi piace che le opere spingano lo spettatore a chiedersi di cosa sono fatte. I materiali impiegati vengono totalmente stravolti nell’aspetto dalla mia pratica. In ujumbe utilizzo sabbia, gesso e plastiche riciclate, che rimodulo a tal punto da renderli irriconoscibili, elevandoli dal loro stato di materiali poveri e comuni e dando dignità a ciò che è stato già visto e usato. Questo è uno degli aspetti che amo di più dei materiali che utilizzo; che le persone da lontano non si rendano conto della loro natura e provenienza.
Inquinamento da Plastica, Microplastica e Nanoplastica, particolare
Ci raccontate l'origine della vostra collaborazione?
LB: Il nostro è stato uno di quegli incontri fortunati, tra persone con storie completamente diverse che si sono incontrate a un certo punto del proprio percorso e hanno avuto modo di collaborare in molte occasioni. Indubbiamente Triennale ha rappresentato una piattaforma importante per entrambi; ci è stata data la possibilità di interagire non solo con il pubblico dell'arte ma anche con quello del design e dell’architettura, con studenti, appassionati e curiosi, e quindi ci ha anche spinto a creare un progetto che fosse accessibile a tutti ma non per questo scontato.
ph. Marco Gasparetti
A questo punto la domanda sorge spontanea: quale può essere la funzione di ujumbe e dell’arte in generale sulla salvaguardia dell’ambiente?
LB: Il lavoro di Louise è permeato da una dose assolutamente autentica di poesia, che è fondamentale quando si tratta di arte, al di là del messaggio che si vuole veicolare. Nelle sue opere è facile riconoscere la mano di una persona consapevole dei nodi culturali, sociali e politici della contemporaneità, e che si sofferma a riflettere sulle questioni più urgenti. Nel farlo, però, non dimentica mai di essere artista, portando il suo contributo con delle azioni sempre fruibili da un punto di vista estetico. Quello che dovrebbe fare l’arte è proprio questo: non può essere completamente avulsa dalla realtà, altrimenti scadrebbe nel puro accademismo, ma non deve nemmeno ridursi a essere un trattato di sociologia, perché, così facendo, verrebbero meno il valore estetico e la rielaborazione concettuale che definiscono la vera opera d’arte e la sua efficacia.
LM: La mia è un’azione pervicace, diretta, insistente e silenziosa, che utilizza bellezza e armonia per imprimersi nella mente dello spettatore, scuotendolo dal torpore di inattività e indifferenza in cui è assorto.
Louise Manzon è nata a San Paolo (Brasile) ed è cresciuta in una famiglia cosmopolita, formandosi tra il Sud America, l’Europa e gli Stati Uniti. Si è laureata in Disegno Industriale presso la Fondazione “Armando Alvares Penteado” di San Paolo. Ha collaborato con uno studio di architettura internazionale ed ha proseguito gli studi conseguendo un master in Disegno industriale presso il Pratt Institute di New York, dove si è misurata con diversi linguaggi espressivi e stili artistici. Ha lavorato come designer presso l’agenzia Young & Rubicam di New York City. Nel 2004 ha deciso di dedicarsi interamente all’arte della scultura, perfezionando le sue tecniche pittoriche e scultoree alla Art Students League e alla National Academy of Design di New York City. Le sue sculture sono state esposte in negli Stati Uniti e in Italia. Hanno scritto di lei e del suo lavoro, fra gli altri, Philippe Daverio, Achille Bonito Oliva, Alain Elkann, Paul Laster e Luca Beatrice.
Luca Beatrice, curatore e critico d’arte contemporanea, è docente all’Accademia Albertina e allo IED di Torino, e allo IULM di Milano. Ha scritto per le riviste "Tema Celeste", "Arte" e "Flash Art". Dagli anni novanta è stato curatore di numerose mostre legate alle nuove arti figurative italiane, tra cui la Biennale di Praga e il Padiglione Italia alla 53ª Biennale di Venezia. Tra le mostre più recenti ricordiamo l’antologica di Andy Warhol al Palazzo Ducale di Genova (2016) e di Edward Hopper a Palazzo Fava, Bologna, e Vittoriano, Roma (2015-2016), le collettive Pollock e la Scuola di New York, Palazzo Reale, Milano e Vittoriano, Roma 2018, Easy Rider. Il mito della motocicletta come arte, Reggia di Venaria 2018, Warhol and friends, Palazzo Albergati, Bologna 2018, Diabolik alla Mole, Museo del cinema, Torino 2021, Carlo Levi, GAM Torino 2022, Giacomo Soffiantino, Fondazione Ferrero, Alba 2022. Per Gallerie d’Italia, Intesa Sanpaolo ha curato al Palazzo Zevallos di Napoli le mostre dedicate a New York, Londra, Berlino e Los Angeles, e la rassegna Futuro presso il Palazzo Leoni Montanari di Vicenza (2020). Ha pubblicato numerosi saggi di critica d’arte e musicale e collabora a "Libero" e "Linkiesta".