Le università milanesi e il mistero. Unknown Unknowns: alcuni misteri legati all’origine dell’Universo, alla sua evoluzione, al suo destino e alle sue componenti
Nell’ambito del percorso di approfondimento dei temi di Unknown Unknowns. An Introduction to Mysteries, 23ª Esposizione Internazionale di Triennale, abbiamo coinvolto a partire da giugno 2021 ricercatori, dottorandi e studenti delle università milanesi e la rete delle comunità straniere in una serie di incontri e seminari organizzati e coordinati da Pupak Tahereh Bashirrad, architetto e dottore di ricerca.
Articolo a cura di V. Fanfani, S. Cancelli, A. Colombo, I. Casiraghi, M. Kushoro, C. Salvaggio, L. Varisco, e L. Broggi del corso di Dottorato di Ricerca in Fisica e Astronomia, Università degli Studi di Milano-Bicocca.
Il modello del Big Bang si propone di spiegare come l’Universo si è originato, si è evoluto e si sta evolvendo, e quale sarà il suo destino. Esso teorizza un’esplosione a partire da una singolarità iniziale che creò la materia al suo stato primordiale e che durante la successiva espansione riesce a spiegare la formazione di tutte le strutture che oggi osserviamo, da quelle a grande scala, come la rete cosmica, fino a quelle a più piccola scala. Tale modello ci consente di descrivere la fisica dell’Universo da pochi secondi dopo il Big Bang fino ad oggi e, nonostante sia quello che più di altri ha saputo mettere d’accordo teoria e osservazioni e largamente accettato dalla comunità scientifica, ci sono ancora molte questioni aperte.
Mappa delle anisotropie del fondo cosmico a microonde (CMB) osservate dal satellite Planck. © ESA and the Planck Collaboration
L’immensa difficoltà che le caratterizza si può comprendere ragionando sul fatto che l’esplosione iniziale e la successiva espansione non escludono la possibilità di un Universo ciclico, pulsante, senza inizio e senza fine in quanto destinato a ricrearsi infinite volte, costituito da fasi di espansione e di contrazione, e che quindi l’attuale fase di vita dell’Universo sia solo una tra le tante che si sono succedute e che si succederanno. E se è più semplice pensare al tempo come una dimensione lineare nata con il Big Bang, più difficile è pensare all’origine del tempo in un Universo ciclico. È quindi lecito domandarsi se l’assunzione che descrive ad oggi il tempo come nato con il Big Bang sia legittima, essendo per noi il concetto di tempo strettamente connesso con il modello stesso che descrive l’Universo.
La struttura a grande scala dell’Universo sulla base della simulazione effettuata dal Millennium. ©Volker Springel (Max Planck Institute for Astrophysics) et al.
Non possiamo inoltre affermare nulla sul destino dell’Universo, se non delineare qualche teoria puramente speculativa. Non siamo infatti in grado di dire se l’espansione accelerata che stiamo osservando proseguirà all’infinito fino a portare l’Universo ad un grande strappo che distruggerà le strutture atomiche stesse; se tale accelerazione dell’espansione ad un certo punto cesserà fino a portare l’Universo a una morte termica per raffreddamento; oppure se tale espansione in un certo momento cesserà per cedere il passo a una fase di contrazione e tornare così alla singolarità iniziale.
Infine, occorre menzionare una delle previsioni teoriche del Big Bang, formulata a tavolino per fornire una spiegazione ad alcune evidenze osservative ma di cui ad oggi non abbiamo alcuna prova certa: l’esistenza del periodo inflazionario. Quest’ultimo consiste in un’espansione accelerata dell’Universo che si ritiene sia avvenuta a causa di una pressione negativa subito dopo il Big Bang e che lo abbia portato a espandersi di un fattore enorme, circa un miliardo di un miliardo di un miliardo di volte. Essa predice inoltre la formazione di onde gravitazionali primordiali, vale a dire perturbazioni dello spazio-tempo che si propagano con carattere ondulatorio, causando una contrazione e dilatazione ritmica delle distanze tra i punti dello spazio-tempo, e che rappresentano l’unica speranza di poter confermare l’inflazione. La comunità scientifica sta spendendo molte risorse proprio nel tentativo di osservare i debolissimi segnali in polarizzazione impressi dalle onde gravitazionali primordiali nella radiazione fossile più antica dell’Universo: la CMB (Cosmic Microwave Background radiation).
I Pilastri della Creazione della Nebulosa Aquila osservati con il telescopio spaziale Hubble. © NASA, ESA, and the Hubble Heritage Team (STScI/AURA)
Quest’ultima ci permette di guardare indietro nel tempo fino a circa 380.000 anni dopo il Big Bang, e rappresenta ad oggi il nostro confine osservativo poiché non arriva alcuna informazione sotto forma di radiazione elettromagnetica dalle regioni più antiche. Se riuscissimo però a osservarne i debolissimi segnali traccia dell’inflazione, potremmo continuare il nostro viaggio a ritroso nel tempo.
Questa riflessione mette in luce il ventaglio delle modalità con cui l’Universo può essere indagato e, appoggiandoci alla metafora dei cinque sensi umani, esso può essere: guardato tramite la ricezione della radiazione emessa; toccato tramite la ricezione delle particelle; gustato e odorato tramite lo studio delle molecole; infine ascoltato tramite proprio la ricezione delle onde gravitazionali.
Uno studio effettuato nel centro di Radioastronomia del Max Planck Institute ha individuato una molecola complessa in una nube di polvere al centro della Via Lattea: l’etile formiato. Essendo uno dei componenti chimici fondamentali sia del rum che del lampone, è stato quindi dichiarato che, se solo potessimo sfiorare un po’ della polvere della nostra Galassia e assaggiarla, essa ricorderebbe il gusto del lampone e il profumo del rum.
Inoltre, le onde gravitazionali sono state una delle più importanti conferme sperimentali avvenute negli ultimi anni, e ci hanno consentito di sentire le deformazioni dello spazio-tempo generate da fenomeni cosmici in cui sono coinvolte masse enormi che variano la loro distribuzione in modo improvviso, come nella collisione di buchi neri. Per buco nero si intende un corpo celeste con un campo gravitazionale così intenso da non lasciare sfuggire materia o radiazione elettromagnetica e, da un punto di vista relativistico, è una regione dello spazio-tempo con una curvatura così grande che nulla dall’interno può sfuggire, nemmeno la luce appunto.
La prima fotografia di un buco nero. © EHT Collaboration
Emblema dei limiti del nostro sapere sull’Universo è infine la sua composizione: conosciamo meno del 5% dell’Universo. Il restante 95% si suddivide circa in 70% di energia oscura e 25% di materia oscura. La materia oscura, teorizzata a partire da prove osservative indirette, interagisce solo gravitazionalmente e non emette radiazione elettromagnetica, diversamente dalla materia conosciuta. L’energia oscura è una forma di energia teorizzata ma non direttamente rilevabile, diffusa omogeneamente nello spazio, e sembrerebbe giustificare l’espansione accelerata dell’Universo che si verifica ormai da circa cinque miliardi di anni.
La piccola frazione nota dell’Universo è costituita da idrogeno ed elio liberi, stelle, neutrini ed elementi pesanti. Circa il 99% di questa materia conosciuta si trova allo stato di plasma. Quando un gas viene portato ad altissime temperature, i suoi atomi si ionizzano formando un plasma, il cosiddetto "quarto stato della materia", caratterizzato da fenomeni elettromagnetici collettivi. Le stelle, ad esempio, sono interamente allo stato di plasma. Nei loro nuclei, grazie a condizioni di temperatura e densità elevate, avvengono le reazioni di fusione nucleare che sprigionano enormi quantità di energia. In una reazione di fusione due nuclei leggeri (ad esempio nuclei di idrogeno) si fondono. La fusione nucleare dell’idrogeno è un processo intrinsecamente sicuro (non esistono reazioni a catena che possano introdurre elementi di rischio), e una sorgente di energia pulita, esente da emissioni di gas serra, che non produce scorie radioattive a lunga vita e che non dipende dalle oscillazioni ambientali tipiche delle fonti rinnovabili. Per tutti questi motivi, sfruttare la fusione come fonte energetica del futuro è una prospettiva estremamente allettante. Si è già in grado di riprodurre i meccanismi interni delle stelle in laboratorio: in apposite macchine chiamate tokamak l’idrogeno viene scaldato fino a 150 milioni di gradi Celsius (circa 10 volte più caldo del centro del Sole) e mantenuto in sospensione mediante campi magnetici molto intensi. Attualmente è in costruzione ITER, il più grande tokamak mai realizzato dove, a poco più di un paio di metri di distanza, vi saranno il punto più caldo e uno dei punti più freddi del nostro Sistema Solare (le bobine superconduttrici che producono i campi magnetici sono mantenute a pochi gradi sopra lo zero assoluto). È una sfida scientifica e tecnologica enormemente complessa, ma infinitamente stimolante. Riusciremo a produrre energia pulita ricreando una “piccola stella artificiale” qui sulla Terra?
Immagine del Sole prodotta dai dati della sonda Solar Orbiter. In alto a destra, la Terra. © ESA & NASA/Solar Orbiter/EUI team; Data processing: E. Kraaikamp (ROB)
Riferimenti bibliografici
1. Barbara Ryden, Introduction to Cosmology, Pearson, 2014.
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3. Marc Kamionkowski, The Quest for B Modes from Inflationary Gravitational Waves, "Annual Review of Astronomy and Astrophysics", 2016.
4. Karsten Danzmann, Gravitational waves: the Sound of the Dark Universe, Spatium, 2017.
5. B. P. Abbott et al., Observation of Gravitational Waves from a Binary Black Hole Merger, Phys. Rev. Lett., 2016.
6. Michel Claessens, ITER, the Giant Fusion Reactor: Bringing a Sun to Earth, Springer, 2020.