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Super Mario Bros, Nintendo, 1985

Audioteatro videoludico

30 marzo 2023

L’espressione “videogioco” mette l’accento soprattutto sull’elemento visivo dei giochi digitali. Ma questo è un medium fatto tanto di video quanto di audio: chi gioca diventa attore, performer in una scenografia digitale costruita con elementi sia visivi sia sonori.

Ogni videogioco ha il suo suono. Dalle sole quattro note elettroniche che scandiscono sempre più rapide la minaccia aliena di Space Invaders (Taito, 1978) alla colonna sonora quasi orchestrale composta da Austin Wintory per Journey (Thatgamecompany, Sony Computer Entertainment, 2012), nella quale il violoncello racconta il viaggio del protagonista attraverso panorami visivi e musicali.

Journey (Thatgamecompany, Sony Computer Entertainment, Annapurna Interactive, 2012), immagine via Steam

Queste colonne sonore sono solitamente extradiegetiche (non fanno cioè parte della finzione del mondo narrativo), come quelle che accompagnano narrazione e ritmo nei film. Ma in fondo diventano anche i suoni di quei luoghi, o almeno una loro sintesi, una loro astrazione. In Super Mario Bros. (Nintendo, 1985) i livelli all’aperto hanno una musica diversa da quella delle cupe grotte, degli abissi marini o dei castelli di pietra, fuoco e lava.
In Super Mario Bros. anche il salto ha un suono unico e chiaramente riconoscibile. Il denaro, la moneta raccolta ha un altro suono, e ogni azione pare produrre musica. È una tecnica che viene dal cinema, dove si parla di “Mickey Mousing” con riferimento ai cartoni animati Disney di Topolino, quando la musica segue e commenta movimenti e azioni. Questo utilizzo lo si trova  già nelle opere di Richard Wagner, come anche l’uso del leitmotiv, un tema musicale ricorrente che rappresenta personaggi, luoghi, oggetti o concetti. 

Proteus (Ed Key, David Kanaga, Twisted Tree, 2013) immagine via Steam

Se Max Steiner ha definito il suono del cinema hollywoodiano musicando più di trecento film, tra i quali Via col vento (Victor Fleming, 1939), lo ha fatto affidandosi proprio al leitmotiv wagneriano, che è poi arrivato al videogioco, per esempio nelle colonne sonore composte da Nobuo Uematsu per la serie giapponese Final Fantasy di Square Enix. È in fondo tutta l’idea wagneriana di “opera d’arte totale” che ambisce a realizzarsi prima nel cinema e poi nel videogioco, un medium in cui tutto può suonare e diventare orchestra, come la flora e la fauna delle isole che esploriamo in Proteus (Ed Key, David Kanaga, Twisted Tree, 2013).

FINAL FANTASY X X-2 HD Remaster (Square Enix, 2016) immagine via Steam

Nel videogioco tridimensionale anche il suono acquista tridimensionalità, suggerisce distanze, direzioni e architetture. È la trasmissione del suono, lo sparo della nostra arma che desta un mostro lontano, a donare unità ai mondi di una delle opere che più ha influenzato i videogiochi 3D, Doom (id Software, 1993). È il suono a rendere spazio interconnesso quella che sarebbe altrimenti solo una sequenza di stanze e corridoi giustapposti.

Doom (id Software, 1993) immagine via Steam

Proprio perché lo spazio videoludico può essere rappresentato come una scenografia sonora e musicale sono stati realizzati giochi digitali che si affidano unicamente al suono per comunicare luoghi ed eventi. Non videogiochi allora, ma audiogiochi, opere completamente accessibili anche a un pubblico cieco o ipovedente. 

Secondo lo storico del videogioco Damiano Gerli sarebbe tra l’altro italiano il primo videogioco appositamente pensato per essere giocabile da persone cieche: Blindness (Dedalomedia, 1996). Blindness ha elementi visivi, e anzi è realizzato usando foto di luoghi fisici e video con attori in carne e ossa. Il protagonista è interpretato da Cesare Bocci, Mimì Augello nella serie TV Il commissario Montalbano. Ma ogni luogo è caratterizzato anche attraverso i propri suoni e rumori ed è rappresentato da un’immagine statica abitabile con il mouse imitando l’esplorazione degli ambienti attraverso l’uso del bastone del protagonista, cieco, che commenta gli elementi con i quali è possibile interagire.

Blindness (Dedalomedia, 1996), immagine via MobyGames

The Vale: Shadow of the Crown (Falling Squirrel, Creative Bytes Studios, 2021) è invece il più notevole esempio recente di audiogioco. In un mondo medievale e fantastico, una principessa cieca si salva da un attacco nemico in una remota provincia del suo regno e deve tornare con le proprie forze alla capitale. La visuale è in soggettiva, lo schermo è quasi interamente nero. Si combatte e ci si difende seguendo solo il suono degli attacchi e dei passi nemici, ci si muove  nelle città (spazi tridimensionali realizzati in scala reale) affidandosi ai rumori degli abitanti e delle attività e s’incontrano personaggi caratterizzati da un accento e un proprio modo di parlare. “I dialoghi hanno acquisito importanza a causa dell’assenza di elementi visivi” (“Dialogues to me became more important because of the lack of visuals”), ci ha spiegato David Evans, direttore del gioco, durante una conversazione via Zoom. “Come puoi definire, culturalmente, un mondo low-fantasy e multiculturale?” (“How can you culturally define a diverse low-fantasy world?”)

The Vale Shadow of the Crown (Falling Squirre, Creative Bytes Studios, 2021) immagine via Steam

A volte quando i giochi digitali non sono interamente navigabili senza affidarsi a elementi visivi interviene l’utenza realizzandone versioni più accessibili. È quello che è successo a uno degli eredi di Doom, Quake (id Software, 1996), adattato in AudioQuake da Matthew Atkinson e Sabahattin ‘Sebby’ Gucukoglu a partire dal 2003 grazie all’uso di “earcon,” cioè di “icone sonore,” suoni che posizionano chiaramente nello spazio e identificano ogni singolo oggetto rilevante. Ma oggi, seppur con qualche incertezza, l’industria videoludica si sta muovendo verso l’implementazione di opzioni che rendano il più possibile accessibile ogni grande videogioco, come il recente rifacimento di The Last of Us Parte I (Sony Interactive Entertainment, 2022), ora diventato anche serie televisiva. The Last of Us Parte I ha screen reader integrato per tutti i suoi testi e descrizioni audio per i filmati, sfrutta la vibrazione del gamepad della console PlayStation 5 per indirizzarci e offre strumenti di supporto alla navigazione degli spazi e all’individuazione di nemici e oggetti. 

The Last of Us Parte I (Sony Interactive Entertainment, 2022) immagine via Epic Games Store

Raccogliendo tutte queste esperienze e sperimentazioni in un unico panorama si dichiara l’interesse del  videogioco a ricercare la propria identità  anche dal punto di vista sonoro e non solo visivo, quindi come audiogioco, e mantenere la promessa di essere una forma di audioteatro interattivo.

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