Le opere dell'artista indigeno Jaider Esbell (1979–2021), parte della mostra Mondo Reale, ci trasportano dal micro al macrocosmo, tra visioni spirituali e storiche, coniugando discussioni che intrecciano arte, spiritualità, storia, memoria, politica ed ecologia. La sua arte ambisce ad amplificare la voce della sua comunità di appartenenza. Di seguito, un testo inedito dell'artista.
Aprendendo os segredos das águas, 2013, photo Marcelo Camacho, courtesy Galeria Jaider Esbell de Arte Indígena Contemporânea
Lessico per permundos: come può l’entità artista indigeno “pescare” in due acque e servire due comunità?
Il lessico per [spiegare] permundos è una mia proposta. Permundos è un non-luogo che richiede un proprio dizionario, o risulta comunque appropriato? Il fatto è che forse al giorno d’oggi c’è un tipo specifico di essere vivente identificato da chi ricerca – con poca sensibilità – creatori di contenuti insoliti.
Questi esseri dispersi sono scarsamente ombreggiati dalle poche macchie di foresta rimaste e diluiti nelle grandi acque dei mezzi di comunicazione, aperti e periferici, senza che la scienza si renda conto della loro grandezza, preferendo seguire la mera prospettiva offerta da filtri viziati.
È grazie all’insistenza di questi esseri – nel resistere alle insidie di una società generale che desidera rimuovere le deviazioni dallo standard – che oggi possiamo sognare di divulgare le loro gesta, conoscere tali soggetti e renderci conto di essere stati ammaliati dai loro incantesimi, plasmati dai tentativi secolari compiuti da altre entità, più impegnate con altri ricordi che con la cosiddetta storia reale o ufficiale.
Oggi sono identificati come artisti, anche se vengono pesantemente smentiti dai pionieri espropriatori del pensiero, che stabiliscono chi può essere iscritto sulle targhe e sulle facciate dei luoghi dove gli occhi chiari passano e consumano.
Sono questi i pensatori che si proiettano attraverso l’estensione dei propri corpi in una distensione di altre vite, che non hanno mai smesso di essere tali, ma che si rendono presenti da questa sponda attraverso le loro energie essenziali. Così facendo danno continuità e sfogo ai loro contenuti, fonti inesauribili di se stessi, un corpo tangibile al di là delle comprensioni.
Questi artisti oggi possono esistere, fuggire o insediarsi, e alcuni lo fanno molto bene. Lasciano i loro luoghi per espandere le proprie origini, come quel tipo di pesce che, quando il suo lago si prosciuga, avanza sulla terraferma per diversi chilometri, finché non raggiunge un altro corso d’acqua dove proseguire il suo viaggio.
Ma questo viaggio in realtà non è il suo, è il viaggio dei primi della sua stirpe. Eppure spetta a questo individuo compiere il percorso del momento, nonostante oggi i corpi d’acqua possibili stiano diventando sempre più scarsi e distanti. Queste distanze e scarsità rappresentano la componente “contemporanea”, perché ormai sappiamo di essere nell’era del post-tutto.
Ma il termine è ancora utile perché queste tracce non sono state cancellate del tutto e c’è ancora luce per osservare le cose da questa prospettiva.
Questi elementali della natura – oggi chiamati artisti indigeni – sperimentano le turbolente acque duplici delle incomprensioni. È necessario farsi strada tra i laghi e per farlo è richiesto un movimento.
Quando si muovono in questa direzione causano una certa stranezza, perché i disordini finora sono stati confinati nelle comunità, ma c’è qualcosa di diverso nell’aria. Cosa vogliono? Possono questi esseri, in mezzo a noi, andarsene in giro senza di noi? Che cosa vogliono questi esseri provenienti da un’altra realtà qui, nei nostri affari? Lo stesso direbbero le comunità sull’altra sponda.
Non avendo tempo per ascoltare nient’altro che le voci ancestrali, questi deviati seguono le loro missioni e si dedicano, con grande sforzo, all’epico esercizio di pescare in acque duplici e servire piatti deliziosi – moquéns, damuridas e altri tipi di brodo – togliendo i fagioli con riso di ogni giorno con una tale maestria che i commensali non se ne accorgono nemmeno.
Poi arriva la seconda emozione, assaggiare questi piatti con un gusto tale da scordarsi di invitare i pescatori a condividere una tavola che va ampliandosi.
Ma non c’è nulla di cui lamentarsi, perché chi è arte sa qual è il suo posto e lì le meraviglie dei fatti sono luoghi solo per loro, impegnati a occupare i ruoli sociali di tante comunità quante ne derivano dall’auto-esaurimento.
Tali necessità si devono a chi ha detto che esistono altri mondi, un’involuzione violabile fatta per essere vista e contagiare creativamente; chi può la veda e, se si attiva, risplenda.
Entre o ar e o mar – pescaria e oferenda, 2021, photo Filipe Berndt, courtesy Galeria Jaider Esbell de Arte Indígena Contemporânea